Mondiali Atletica - Bekele fa la storia a Berlino

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Youngster
view post Posted on 18/8/2009, 11:09




Mondiali Atletica - Bekele fa la storia a Berlino

Questo, per l"atletica, è l"anno della B: Berlino, Bolt, Bekele.

Tra il grande pubblico si parla sempre dello sprint e delle gare di velocità. È molto più semplice, per chi non è super appassionato, seguire una gara di 100 metri che non una di 10.000: in dieci secondi scarsi finisce tutto, senza tattiche o tempi da controllare ogni giro. Adesso si parla solo di Usain Bolt e dei nuovi limiti umani.

Ma dove lo mettiamo in tutto questo uno come Kenenisa Bekele, uno che i limiti umani li ha già spostati da un bel pezzo. Uno che di medaglie, titoli e record ne ha così tanti da riempire una casa. Due volte campione olimpico, quattro volte campione del mondo, detentore del record del mondo dei 5.000 e 10.000 metri. Praticamente imbattibile (infortuni a parte) dal 2003 in avanti. Un cannibale.

Negli anni '80 iniziarono ad apparire con forza sul palcoscenico mondiale i keniani. Sembrava che fossero atterrati gli extraterrestri tanta era la loro facilità di correre e vincere. Cominciarono a circolare tutte le leggende possibili sull'origine del fenomeno: che andassero a scuola di corsa per 50 kilometri al giorno, che fossero così veloci perché scappavano dai leoni e altre baggianate. Una sola cosa sembrava reale: che non avessero avversari.

Ed invece nel 1993 spuntò un piccolo etiope, sempre sorridente destinato a diventare il numero uno, Haile Gebrselassie. Bekele ne è l'erede ed anzi, sembra destinato a superare il maestro. Fortissimo sul ritmo, imbattibile in volata, capace di correre in 52 secondi l'ultimo giro di una gara di 10.000 metri. I keniani, come nella gara di stasera, sembrano già sconfitti prima di partire. Ogni tanto qualcuno prova ad impensierirlo, come oggi ha fatto l'eritreo Tadesse, ma pare di vedere il gatto che gioca con il topo.

Eppure le vittorie di Bekele non vengono così enfatizzate come dovrebbero essere. Non è alto, bello o istrionico. Come comunicatore non è un granché, visto che riesce ad esprimersi con difficoltà in lingue diverse da quella di origine. Eppure è di una gentilezza e di una umiltà incredibile. Se lo incontri per strada, prima di qualche meeting, sembra stupito se qualcuno lo riconosce e lo ferma per un autografo. Semplicissimo.

Eppure chi fa atletica sa cosa vuol dire essere il numero uno dei 10.000 metri, quanti chilometri devi ingoiare, quanta fatica devi fare per arrivare a questi livelli. Nessuno più di lui avrebbe il diritto, dopo quello che ha fatto e vinto, a far pesare agli altri tutta la fatica accumulata. Ed invece nulla.

Sarebbe bello che, insieme a Bolt, anche chi non è addetto ai lavori considerasse simbolo dell'atletica moderna uno come Bekele, che rappresenta un esempio perfetto per i giovani atleti, di tutti gli sport, come limpido esempio di abnegazione e capacità di lavorare duramente, dell'attività sportiva come mezzo per uscire da vite difficili come possono essere in Etiopia.

Purtroppo è il mezzofondo non ha l'appeal necessario. Troppo lungo per uno spettatore distratto. Ma a noi che ammiriamo l'essenza dell'atletica, dopo la sbornia mediatica dei 100 metri di ieri sera, uno come Bekele piace, tanto.
 
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